domenica 6 maggio 2012

Majella Madre e la pioggia di Maggio


Di Franco Sarbia

Ho riflettuto sull'insistenza di questa pioggia d'inizio maggio e ritengo d'esser venuto a capo, con l’aiuto di Giovanni Semerano, delle radici linguistiche che inducono ancor oggi noi, come gli antichi italici che ne abitarono le pendici, a definire la Majella grande madre.

Avevo dapprima ipotizzato, per la genesi del suo nome, la sua composizione da mah(r)û-ellû: la montagna più grande. La prima grande altura, mēlû, verso gli alti pascoli estivi di Aitalia - Italia, che in Aramaico significa sera, terra della sera o terra del tramonto - seguendo il percorso del sole a ponente. E tuttavia la difficoltà dell'approccio di Giovanni Semerano, che provo a emulare, non consiste nel ricondurre svariati nomi ad una delle poche corrispondenti radici indoeuropee inventate. Al contrario, per nominare uno stesso luogo, anche con le mie scarse informazioni sugli antichi codici del vicino oriente, s'affollano molteplici voci, che il sole radente rileva nell'argilla da cinque millenni. Tra queste "Madgulu" indica: torre d'avvistamento, punto di vista, prospettiva. Se proviamo a pronunciare la doppia consonante "dg" ne scaturisce il suono "j" di Majella.


Allora ho immaginato antichi popoli che, risalendo la montagna con armi e armenti, cantavano le mete del loro percorso e generavano la mappa dei luoghi ritmando l’incedere sull'armonia dei suoni assonanti, come racconta Bruce Chatwin nelle "Vie dei canti". Ed erigevano megaliti come "pietre che cantano" e indicano l'identità dei luoghi consacrati all'incontro tra le vie della terra e le vie del cielo, elevando ad esso inni propiziatori. Così giunti alla vetta, al dispiegarsi dell'ampio orizzonte dal mare ai grandi appennini, il tono mutava trasformando anche il significato, da punto di riferimento geografico, in punto di vista. E variando ancora il tema nominavano finalmente la cima più alta che apriva lo sguardo sui termini estremi di Aitalia: Sempervisa e Terminillo, con la Majella ai vertici di un perfetto triangolo equilatero. Amāru chiamarono quell'osservatorio sommitale. In accadico amāru significa, guardare con insistenza, esaminare, leggere, ammirare. Da lassù le costellazioni di astri disegnano sulla terra costellazioni di luoghi. E gli allineamenti di stelle indicano nuove strade a chi li sappia leggere. E poi i percorsi battuti per millenni diverranno tratturi. La  vetta della Majella per cinquemila anni non ha cambiato nome. Ancor oggi si chiama monte Amaro. Etimo che questo naturale punto di osservazione condivide con ammirazione e amore.
Ma perché Majella madre? Oggi nessuno penserebbe di consacrare una montagna ad una divinità femminile, perché è maschio l'insostenibile dominio sulla terra, della moderna civiltà urbana, ma è femmina una terra libera, dagli ampi sconfinati orizzonti. Le vette più alte, innumerevoli come i seni di Artemide, sono sacre. Lassù ai confini del vento la Grande Madre terra incontra il Dio del cielo e feconda la vita. Specialmente sulla Majella ciò avviene. Māia, divinità greca Μαĩα, “la mamma” di Mercurio, è la più bella delle Pleiadi, le piovose. Evoca le piogge di Maggio, fecondatrici e vitali per le terre meridionali, «Māium: mensem Romani a Maiia, Mercuri matre». Il nome della Dea deriva, infatti, da aramaico Majja, ebraico maiim, accadico mā’ū: acque. Le acque di maggio, fecondatrici della madre terra, sono a buon titolo qualificate dall’aggettivo accadico “ellu”: puro, sacro.

Majja ellu, Sacra Madre fecondatrice, così doveva allora risuonare il nome della Majella, capace di condensare l’umidità del vento di mare, sollevata dal calore di maggio fino alla sua vetta, e di generare materna fertilità poco prima che l'arido giugno portasse a maturazione il frumento, il farro e il foraggio nelle sue valli. E allora gli inni propiziatori alla Grande Madre tacevano e mutavano ancora nel canto di ringraziamento quando il fuoco dei falò di mezza estate bruciava i rovi della ripulitura dei pascoli e accendeva sulle vette allineamenti di luoghi che si congiungevano, e si confondevano, con le stelle del cielo.



Giovedì. 3 maggio 2012


Ho impostato il punto di vista di Stellarium sulle coordinate del Monte Amaro nel 2500 AC, circa due secoli prima dell'impero di Sargon. Questo è il risultato: "a metà del terzo millennio a.C il tramonto eliaco delle Pleiadi, avveniva perfettamente ad Ovest e segnava l'inizio della primavera. La loro levata eliaca era ai primi di maggio, esattamente ad Est. Maja, la più luminosa delle Pleiadi, vista dal monte Amaro sulla Majella, sorgeva allora sul lontano orizzonte adriatico verso le 5 del mattino ed era visibile per poco prima di scomparire nel chiarore dell'alba. L'abbondanza delle piogge di maggio, a partire dalla levata eliaca di Maja, che in quei giorni accompagnava il carro del sole nella sua corsa, era sicuro preannuncio di un raccolto abbondante."



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