sabato 28 luglio 2012

Il tempo degli assassini




Il 12 ottobre (1936), anniversario della scoperta dell'America, "Giorno della razza", si tenne una cerimonia nell'Auditorium dell'Università di Salamanca. Il pubblico era composto da notabili del Movimento, tra cui un forte contingente locale della falange. In platea presero posto Carmen Polo, moglie di Franco, Pla y Deniel, vescovo di Salamanca, il generale Millán Astray, che arrivò accompagnato dai suoi legionari (Millán Astray fu il fondatore della Legione straniera; la Legión, creata su imitazione della legione straniera francese), e Miguel de Unamuno, rettore dell'Università. Unamuno, irato contro i governanti della Repubblica, aveva sostenuto al principio il “sollevamento” che avrebbe dovuto "salvare la civiltà occidentale, … la civiltà cristiana che si vede minacciata", ma non poteva sorvolare sulla carneficina che ebbe luogo nella città sotto gli ordini del comandante Doval, già tristemente noto come repressore nelle Asturie; né poteva sorvolare sugli omicidii dei suoi amici Casto Prieto, sindaco di Salamanca, Salvador Vila, professore di arabo ed ebraico all'Università di Granada, o García Lorca.



I discorsi d'apertura toccarono a Vicente Beltrán de Heredia e José María Permán. In seguito, il professor Francisco Maldonado lanciò una tremenda tirata contro i nazionalismi catalano e basco, “tumori della nazione” che dovranno estirparsi con l'implacabile bisturi del fascismo. Dal fondo della sala qualcuno urlò il grido legionario “Viva la morte!” e il generale Millán Astray, che appariva come un autentico spettro della guerra, monco, guercio e ricoperto di cicatrici, diede il La coi “viva!” di rigore, mentre i falangisti tesero il braccio nel saluto romano verso il ritratto di Franco, che incombeva al di sopra del sedile della sua sposa. Il tumulto svanì quando Unamuno prese la parola:


  State aspettando le mie parole. Mi conoscete bene e sapete che sono incapace di stare in silenzio. A volte, stare zitti, equivale a mentire. Perché il silenzio può essere interpretato come acquiescenza. Voglio fare un commento al discorso, per definirlo in qualche modo, del professor Maldonado. Lascerò da parte l'offesa personale sottintesa nella sua velleitaria esplosione contro baschi e catalani. Io stesso, come sapete, sono nato a Bilbao. Il vescovo, che gli piaccia o no, è catalano nato a Barcellona. 

Pla y Deniel si mosse a disgusto all'allusione di Unamuno al suo luogo d'origine, che era quasi, di per sé, un'implicazione di slealtà verso la crociata nazionale. Nel silenzio generale, Unamuno proseguì:  

  Ma sento adesso il grido necrofilo ed insensato: “Viva la morte!”. Ed io, che ho passato la mia vita forgiando paradossi che suscitavano l'ira di coloro che non li capivano, debbo dirvi, da esperto autorevole, che questo ridicolo paradosso mi è repellente. Il generale Millán Astray è un menomato. Sia detto senza alcuna intonazione irriverente. È un invalido di guerra. Anche Cervantes lo era. Sfortunatamente oggi in Spagna i mutilati abbondano. E, se Dio non ci viene in aiuto, presto ce ne saranno molti di più. Mi inquieta pensare che il generale Millán Astray possa dettare le norme della psicologia di massa. Un menomato che manchi della grandezza spirituale di Cervantes, c'è da aspettarsi che trovi un orrendo sollievo vedendo come si moltiplicano gli invalidi attorno a lui.

Quando Unamuno giunse a questo punto, Millán Astray non poté più contenere la sua ira. “A morte l'intelligenza! Viva la morte!”, urlò a pieni polmoni. Falangisti e militari misero mano alle loro pistole e perfino la scorta del generale puntò la sua mitraglia alla testa di Unamuno, senza però impedirgli di terminare il suo intervento, in tono di sfida: 

  Questo è il tempio dell'intelligenza! E io sono il suo sommo sacerdote! Voi state profanando il suo sacro recinto! Vincerete, perché avete più forza bruta di quanto sarebbe necessario. Ma non convincerete. Perché per convincere bisogna persuadere. E per persuadere avreste bisogno di tutto quello che vi manca: la ragione e il diritto alla lotta. Mi sembra inutile chiedervi di pensare alla Spagna.




Fece una pausa, e lasciando cadere le braccia ormai senza più forze, concluse, in tono rassegnato: “Ho finito”. Si dice che la presenza di Carmen Polo gli abbia risparmiato di essere assassinato in quello stesso momento, e che quando Franco seppe quello che era accaduto si lamentò che non lo avessero fatto. È certo che i “nazionali” non uccisero Unamuno per la fama internazionale del filosofo e per la reazione causata all'estero dall'omicidio di García Lorca. Tuttavia, Unamuno, destituito come rettore e confinato nel suo domicilio, morì l'ultimo giorno dell'anno, costernato e tacciato da “rosso” e traditore – benché il suo funerale fu strumentalizzato dai falangisti – da coloro che aveva creduto amici.



















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